Nuova Inter: il riscatto dei "bidoni" (o presunti tali)

17.09.2013 09:46
 
Se appena un mese fa avessi dovuto pronosticare un avvio di stagione così soddisfacente per Mazzarri e l'Inter, probabilmente non lo avrei fatto. Non per una mancanza totale di fiducia nelle capacità del mister, nei confronti del suo modo di intendere il calcio e il lavoro, quanto perchè, tra un'amichevole e l'altra, era spesso evidente quante e quali mancanze erano (e lo sono tutt'ora comunque) presenti in questa rosa, non corrette da un mercato statico (non solo in entrata ma anche in uscita) per certi versi pronosticabile, questo sì, per via di una società altrettanto ferma, immobile, cristallizzata fin troppo sui suoi dubbi, tra continue voci di una cessione mai avvenuta.
Eppoi, tra giocatori che avrebbero dovuto accasarsi altrove e che, in caso contrario, si sarebbero rivelati solo un gravoso peso per tecnico, società e tifosi (Alvarez, Nagatomo, Jonathan) e, in aggiunta, le ovvie perplessità (di alcuni) su un allenatore che a Milano avrebbe dovuto affrontare il "problema dei problemi", ovvero la mancanza (o presunta tale) di qualità, di tecnica in squadra (dunque di dover gestire una rosa non troppo all'altezza di un campionato riscopertosi ricco o meglio, più ricco del solito in termini tecnico-tattici), fare previsioni non era del tutto scontato senza avere un pizzico di pessimismo in più del dovuto.
Eppure quei dubbi si sono sciolti come neve al sole grazie ad un avvio che, accanto ai risultati, ha portato la fortuna di rivedere finalmente un'idea di gioco non spettacolare, certo, non entusiasmente ma vera, concreta ed efficace, frutto diretto di una identità tattica recepita e accettata da un collettivo dato allo sbaraglio e, tra le altre cose, impreziosita dalla rinascita di alcuni giocatori dati per finiti oppure definiti, forse troppo in fretta, indegni di vestire la casacca nerazzurra. Gli stessi cioè che nel biennio "Gasperini-Ranieri-Stramaccioni" non facevano altro che stizzire il pubblico di S.Siro, da parte sua, storicamente, non troppo avvezzo alla pazienza.  
Non ho mai giudicato troppo duramente i giocatori arrivati all'Inter nel post-Triplete, perchè, come appena detto, ho sempre creduto che non tutti, forse nessuno, avesse avuto la chance reale di potersi imporre in Italia e all'Inter semplicemente perchè giunti a Milano nel momento meno opportuno, a ridosso di un quinquennio favoloso dopo il quale sarebbe stato impossibile fare di meglio. E, soprattutto, dopo il quale molti aspetti gestionali stavano venendo clamorosamente meno (riduzione frettolosa del monte ingaggi, allenatori sbagliati, incapacità di cogliere opportunità offerte dal mercato). Eppoi, ancora, perchè al cospetto di un allenatore già sfiduciato e sempre sotto esame (Gasperini), o con un traghettatore con i giorni contati (Ranieri) o ancora, con un giovane di belle speranze, con un buon appeal mediatico (Stramaccioni), ma privo però della necessaria reputazione per guidare, da leader vero, un gruppo così ricco e vincente, l'esperienza in nerazzurro dei "nuovi" non avrebbe potuto che collocarsi al di sotto delle aspettative minime (di rendimento).
Tralasciando ovviamente il fatto che questi poi sarebbero divenuti le nuove vittime sacrificali di un pubblico che spesso si è dimostrato incapace di cogliere gli aspetti più significativi della crisi post Triplete, senza scaricare (almeno) una parte delle colpe a chi è venuto dopo, a chi avrebbe dovuto essere il nuovo Sneijder, o Eto'o e via dicendo (e ovviamente non lo era).
Ho sempre pensato che l'Inter e gli uomini chiamati a gestirla (a tutti i livelli), orfani di Mourinho e dei soldi a quantità industriali di Moratti, non fossero in grado di valorizzare anche il più fulgido dei talenti e che, anzi, lo avrebbero risucchiato nel marasma masochistico che era l'Inter solo pochi mesi fa.
L'emblema della rinascita del gruppo dei desaparecidos è proprio colui che è stato maggiormente criticato dai tifosi, le cui scarse capacità di integrarsi in campo con la squadra, i continui personalismi senza scopo apparente nonchè una certa fragilità nel passo, sono state spesso prese ad oggetto per richiamare da vicino quelle carenti di Branca e Ausilio in fatto di management e scouting. Ricky Alvarez, invece, è tutt'oggi la miglior scoperta dell'era Mazzarri: lo si era già intravisto in estate, se ne è avuta la conferma in questo splendido avvio della squadra in campionato, nel quale è emerso il talento di un giocatore che, probabilmente, non è e non sarà mai un fenomeno ma un ottimo giocatore, questo sì, che aveva solo bisogno di essere disciplinato, motivato e di sentirsi valorizzato in un contesto più inquadrabile anche a livello tattico.
Eppoi la diatriba sul reale costo del cartellino del calciatore aveva suscitato diversi rimpianti tra i tifosi nerazzurri, soprattutto tra coloro che, rendimento alla mano, poteva dirsi sicuro di essere al cospetto dell'ennesimo bidone morattiano senza tenere in conto, come detto, come un calciatore possa risentire di un clima di sfiducia, se gestito nelle prime battutte della sua esperienza da un tecnico messo già alla porta, ovvero di agire in un contesto di transizione nel quale anche il rendimento dei veterani è crollato verticalmente sotto la crisi della gestione tecnica post mourinhana.
La duttilità di Alvarez permette a Mazzarri un modulo più coperto o meno a seconda della collocazione: un elemento anche questo che valorizza la presenza nell'undici titolare dell'argentino, che sarà chiamato fino al termine della stagione a giocare un ruolo da protagonista e forse a fungere da vero e proprio ago della bilancia nella continua ricerca di un equilibrio tattico collettivo, ovvero ciò che il tecnico pare abbia stabilito come priorità assoluta per poter affrontare una concorrenza molto ben strutturata da questo punto di vista.