Calciopoli: ennesima condanna a Luciano Moggi. Tra ordinario e abbreviato qual'è la verità?

18.12.2013 15:04
 
La condanna a 2 anni e 4 mesi di reclusione comminata a Luciano Moggi nella sentenza d'appello in ambito penale pronunciata a Napoli, che ha visto le ulteriori condanne degli altri "associati", tra i quali De Santis, Dattilo, Bertini tra i direttori di gara, poi Pairetto e Mazzini, ribadiscono con fermezza l'esistenza di un'organizzazione che si proponeva la sistematica alterazione dell'andamento del campionato 2004-05: riuscendoci o no (affinchè ci sia frode infatti basta anche il solo tentativo), poco conta. Una sentenza che tuttavia sembra lasciarci qualche dubbio sul quale poi discutere, in particolar modo per l'eccessiva incongruenza tra quello che stabilisce la sentenza d'Appello del processo ordinario e ciò che invece risulta da quello del rito abbreviato.
La sentenza di ieri, giunta in serata dopo una serie di ipotesi discordanti circa il ritardo della pronuncia, è da considerare come un'altra, schiacciante, vittoria per l'accusa che, così come accadde nel processo di primo grado di due anni fa, è riuscita a far valere l'ipotesi per la quale esisteva un sistema di potere che consentiva all'ex dg della Juventus di manipolare il meccanismo designatorio mettendo le mani su quelle che dovevano essere le griglie arbitrali (non i sorteggi, risultato regolare in primo grado, ovviamente, se molti arbitri erano "amici"), spesso "concertate" clandestinamente e di comune accordo con i designatori (intercettazione Moggi-Bergamo 2005) e di avere contatti diretti e continui, anch'essi clandestini, con alcuni direttori di gara, che da diverse conversazioni colte di rimbalzo risultavano essere molto vicini al dirigente bianconero. 
Elemento pregnante dunque il circuito delle schede svizzere distribuite ad arbitri e agli stessi designatori in diversi momenti, l'elemento veramente decisivo per produrre in sostanza due sentenze identiche tra primo e (probabilmente) secondo grado, nonostante lo sconto di pena dovuto alla prescrizione delle frodi. In attesa delle motivazioni che scopriremo tra tre mesi, ribadire la centralità delle utenze straniere non è difficile e anzi è questo l'elemento più solido sul quale pensare si basi l'ennesima condanna.
Vero però che l'assoluzione degli arbitri avvenuta nel dicembre dello scorso anno durante il processo abbreviato (Pieri, Dondarini, Gabriele, Cassarà, Messina) getta ombre e qualche dubbio in merito all'ampiezza e alla portata dell'organizzazione stessa: qual'è dunque la verità? 
Una Cupola "spuntata", quindi un sistema circoscritto a pochi "affiliati", oppure un sistema comunque forte e condizionante? Due sentenze che, se ribadiscono la colpevolezza di Moggi e di una parte degli associati, ci confondono le idee e non fanno altro che acuire la sfiducia verso la giustizia, non solo da parte juventina, che, da parte sua, si ostina a definire il processo una farsa di cui si sentono le sole vittime, ma anche da parte interista che, purtroppo, continua a combattere contro chi, in barba alle sentenze stesse, continua nella campagna denigratoria contro Giacinto Facchetti. 
Il sistema "Calciopoli" deve in realtà essere osservato e analizzato secondo l'enorme canovaccio di connivenze che legava i Moggi, i Mazzini, i Lotito e i Della Valle, dunque una serie di personaggi potenti e importanti, di spicco nel mondo del calcio, in un gioco sporco che vedeva estraneo chi, come Facchetti, utilizzava sicuramente un atteggiamento ambiguo ma sicuramente meno condizionante perchè legato più alla tutela di una società spesso danneggiata da sviste ed errori decisivi protratti nel tempo. 
Spesso si è discusso di un comportamento, quello della compianta bandiera nerazzurra, capace di configurare una frode sportiva. Vero, anche se processi non ce ne sono stati che confermino la tesi, a meno che tutti non siano diventati giudici infallibili. Etichettare certe conversazioni è facile: come quando l'ex presidente nerazzurro chiese all'allora responsabile degli Assistenti, Gennaro Mazzei, il "numero 1" degli arbitri (Collina) e dei guardalinee (Ivaldi e Pisacreta), richiesta fin troppo esplicita per non essere mediaticamente additata alla pari di quelle fatte da Luciano Moggi a Bergamo e Pairetto, eppure così diversa nei toni (seppur questa potesse apparire come una volontà pressante e condizionante), e nelle circostanze, dettate da una sorta di paura latente o di sfiducia verso quella che era la classe arbitrale soprattutto in vista di partite delicate, quale poteva essere un Inter-Juventus alla quale si riferisce la conversazione. 
Un punto di vista questo, opinabile ma nel quale risiede buina parte della verità. Che piaccia o no. 
Diverso da chi invece aveva messo i suoi tentacoli sul sistema calcio, in un gioco di potere nel quale molto peso aveva il duo Moggi&Giraudo, che aveva portato ad esempio alla (ri)elezione di Franco Carraro, quello che non voleva "casini" proprio per il derby d'Italia, per mantenere integro il fronte che ne sosteneva il nome, pronunciando in un'intercettazione la frase "che non si favorisca la Juventus", come se questa fosse la prova di tutta la farsa organizzata ad hoc ai danni del club di Torino; quello portò alle suppliche di salvezza i Della Valle, prima "out" e poi "in" dalla cerchia di amici, con la permanenza in A che giunse proprio all'ultima giornata, alla stregua di una semplice coincidenza); all'allontanamento poi di Claudio Lotito dal gruppo che all'epoca "contava". 
Cioè non solo la mera pressione su arbitri e designatori, quanto le mani su questioni ancora più calde e decisive per le sorti del calcio di quegli anni. 
Eppoi il rapporto con l'altro grande condannato, quell'Innocenzo Mazzini che, vice presidente della FIGC, intratteneva rapporti più che amichevoli con i vertici juventini, a testimonianza della penetrazione in seno ai ruoli istituzionali più alti della federazione, una reverenza del primo verso i secondi che non è passata inosservata.
Le differenze con quello che è stato l'atteggiamento della società Inter nei confronti della "questione arbitrale" stanno tutte qua. Conversare "in chiaro" con i designatori è diverso dalle criptiche conversazioni che intercorrevano tra Luciano Moggi e i designatori, ai quali venivano distribuiti i codici di ricarica, e ordinato di "accendere" il terminale al momento opportuno. Sul quale poi si sono disperse le scuse più disparate, come il famigerato spionaggio industriale che non motiva di certo il possesso di utenze svizzere da parte di numerose giacchette nere. Per non parlare dell'intromissione in quel sistema di equilibri (precari) che gestiva il difficile mondo del calcio del nuovo millennio. 
Certo che la sentenza presenta qualche falla come accade ovviamente ad una ricostruzione giuridica dei fatti che non può risultare per forza di cose estremamente precisa, capace tuttavia di soddisfare la tesi accusatoria. 
La sentenza di ieri sera rimane comunque una vittoria per tutto il popolo nerazzurro e un'ulteriore sconfitta per quello bianconero perchè, nonostante le illazioni e le accuse legate ad un "processo a senso unico", le valutazioni che di volta in volta sono arrivate dai giudici circa i comportamenti del duo Moggi-Giraudo, ci convincono che Calciopoli non è stata una farsa anzi una vera e propira condanna dalla quale ci siamo finalmente liberati.