Bentornato Colosso (ma hai sbagliato maglia)

15.07.2013 11:00

 

Spesso nel calcio, osservato dal lato più romantico e sentimentale, quello fatto dalla passione, dall'adulazione, dall'entusiasmo dei tifosi, succede che adulti e bambini, indistintamente, sceglono un idolo col quale identificare (calcisticamente) sè stessi, la propria fede, per nutrire l'orgoglio di tifare una squadra e i suoi colori. Un simbolo, un eroe che nel profondo della nostra essenza, non solo sportiva, rimarrà legato a noi per sempre.

A chi non è successo? Maicon è significato questo per me. Lui era, così come per moltissimi altri fan della Beneamata, l'uomo indiscusso della domenica, quello che più mi piaceva veder giocare. In mezzo a tanti, proprio il numero tredici: nessuna logica razionale, nessun condizionamento. Una scelta di cuore alla quale non ho potuto dare spiegazioni.

Per questo fa male vedere il brasiliano indossare una sciarpa giallorossa. E non per invidia, perchè quello che sbarca a Roma è ormai un  guerriero stanco, vecchio, triste e ormai giunto quasi al termine di una (splendida) carriera che lo tramanderà ai posteri come uno dei più straordinari terzini della storia del calcio mondiale. Fa male a prescindere. Perchè Maicon è (stato) un giocatore con la "g" maiuscola, un vero fuoriclasse sì, ma di quelli nati dal basso, estraneo alla luce dei riflettori, scoperto quasi per caso. E che, forse più di altri, è stato il simbolo meno celebrato ma più genuino di una squadra invincibile, cresciuta al passo delle sue giocate: sei anni lottando per l'Inter, correndo per l'Inter, vincendo con l'Inter. 

Ricordo ancora come se fosse oggi un Inter-Roma 4-3 di Supercoppa (anno 2006) nella quale nacque la mia più sincera ammirazione per un calciatore ancora sconosciuto e che, tuttavia, sapeva rubare l'occhio e la scena a campioni più famosi e celebrati: ritmo, potenza, cross, accelerazioni mai viste prima a S.Siro.

E da lì che nasce il "mito Maicon", un miracolo costruito solcando l'erba d'Italia e d'Europa, partita dopo partita, giocate sempre da protagonista, senza lesinare energie e voglia, dimostrando alla fine di essere sempre il primo della classe. Tanta classe messa a disposizione della squadra, dalla quale il gigante verdeoro si spesso è ritagliato un piccolo spazio di autonomia, per sè e per i suoi tifosi: perchè tra una diagonale e un'altra, ha messo a segno gol esaltanti, corse a perdifiato sul fondo, giocate sopraffine degne di essere annoverate e custodite nella personalissima galleria di ricordi, quelli indelebili (naturalmente), di ognuno di noi.

Meriterebbe forse una statua fuori dal Meazza, tanto ha dato per i colori più belli e importanti di Milano.

La sua infatti non è stata una avventura banale in nerazzurro, tutt'altro; e nessuno potrà mai dimenticare di ringraziare questo fenomenale Campione della fascia, che volevamo restasse soltanto nostro. E al nostro Colosso infatti, seppur con un nodo in gola, auguriamo il meglio, perchè, nonostante tutto, è e resterà un cuore nerazzurro. Uno di Noi.