Ciao Giacinto, gli interisti ti amano ancora

18.07.2013 16:01

 

Il 18 luglio di 71 anni fa nasceva a Treviglio Giacinto Facchetti. Per chi non lo ricorda, come me, il suo mito rivive purtroppo in poche sbiadite immagini sparse qua e la sul web, oppure in qualche video altrettanto sgualcito ripreso da You Tube.

Eppure di Giacinto Facchetti, nonostante abbia visto poco di lui, posso dire che sia stato un pezzo di storia interista davvero significativo, in tutti i suoi anni di militanza in nerazzurro, sia da calciatore che poi da dirigente. Un uomo, o meglio, un simbolo che, più di ogni altro, ha saputo incarnare i valori sani dello sport, e, con un pizzico di orgoglio, quelli dell'essere interista: onestà, dignità, l'eleganza di essere sempre al di sopra di ogni sospetto. Facchetti e l'Inter è e sarà per sempre un binomio indissolubile, che ha saputo reggere alla prova del tempo, a quello doloroso degli addi: Massimo Moratti, che dedicò una struggente lettera di "arrivederci"al suo "amico" dopo una morte improvvisa, lo volle fortemente con sè in società, nonostante il benservito, nemmeno poi troppo a malincuore a chi, come lui, aveva costruito il mito della "Grande Inter". Via i Mazzola, i Suarez, i Corso, ma non lui.

Rimase solo Giacinto. Rimase la sua di figura, alta e distinta, a rappresentare quel filone aureo di una leggenda tutta nerazzurra, che legava un'epoca trionfante ad un'altra meno serena, stabile e vincente. Egualmente significativa però, perchè, sarebbe stato quello il monito giusto per assistere alla fragorosa rinascita di un club nuovamente nelle mani di un Moratti.  E perchè, nel bene e nel male, essere interista è l'unica cosa che davvero conta quando tutto va storto.

Facchetti, da giocatore, è stato davvero un "Grande" di quelli con la "g" maiuscola, come la squadra che poi ha capitanato:  a lui si associa infatti l'immagine, anche se in bianco e nero, di un'epopea di vittorie irripetibile, indimenticabile. Un momento-chiave quello della "Grande Inter", una fucina di campioni da studiare per ogni generazione di tifoso che ha avuto o abbia tutt'ora la fortuna di sostenere l'Inter, o che voglia interessarsi alla sua storia, agli uomini che l'hanno resa celebre, ammirata, odiata e, infine, rispettata, in Italia e nel mondo. Un calcio diverso, romantico, qualcuno direbbbe ormai superato dal circo mediatico che il football è al giorno d'oggi.  Eppure, quando ne abbiamo bisogno, tutti ci rifacciamo a uomini come Giacinto per riaffermare l'orgoglio, la gioia, l'onore di tifare Inter.

Un calcio affascinante, d'altri tempi, così come lo era la filastrocca del "Sarti, Burnich, Guarneri, Picchi, Facchetti...". Un piccolo, grande eroe Facchetti, che oggi come allora da lustro e riconoscibilità ad una società prestigiosa e amata come la Beneamata.

Se n'è andato proprio sul più bello Giacinto. Se n'è proprio quando poteva godersi lo spettacolo più bello del mondo, dopo anni di crisi, umiliazioni, finalmente provate dal fragore di uno scandalo tutto italiano. Come Prisco, forse l'unico capace di portare l'interismo da una concezione campanilistica del tifo ad una dimensione esistenziale della vita, non ha potuto assistere alla rinascita del suo grande amore, alla stesura di una pagina enorme di storia. Stavolta non come protagonista sul campo, ma come dirigente, o amante, o, ancora meglio, nel semplice ruolo di tifoso della squadra più bella e importante di Milano.

Poche parole serevono per dire chi fosse il Cipe.

Per questo ringraziamo Giacinto Facchetti per tutto quello che ci ha lasciato in eredità. Il volto buono del calcio e l'indiscusso simbolo di una leggenda chiamata Inter.